milano modica a/r

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emanuele giuffrida

rosario antoci

Roberta Savelli

dal 19/12/2007 al 18/01/2008

Collettiva a cura di Chiara Argenteri, con opere di Rosario Antoci (Ragusa, 1966), Marina Giannobi (Monza, 1965), Emanuele Giuffrida (Gela, 1982) e Roberta Savelli (Giussano, 1969). La mostra sarà visitabile fino al 19 Gennaio 2008. “Da Milano a Modica, con volo diretto e posto in prima classe: due giovani artiste meneghine a confronto con due colleghi siciliani, due fotografi e due pittori, per una doppia coppia ben assortita e amalgamata. Quattro maniere parallele di disegnare, dipingere e fotografare, dalla grafite all’olio, dalla pellicola fotografica al mouse, dalla pennellata piena e calda al distacco contenuto, dal tocco freddo e sopraffino all’immediatezza dello scatto fotografico. Poco più che una carrellata veloce, senza pretese d’essere esaustiva, su quanto avviene nell’Italia contemporanea dell’arte (metropolitana o provinciale), da nord a sud dello stivale. Una rapida occhiata su quell’idea e quel gusto comune che hanno preso decisamente piede negli ultimi anni e si stanno ora imponendo agli occhi di tutti, senza che le strategie di mercato e le lobby della cultura possano fermarli. Una toccata e fuga, una panoramica a volo d’uccello sul lavoro di quattro degni rappresentanti del nostro Bel paese. Un assaggio per veri gourmet dell’arte, e come ingredienti principali le due arti visive per eccellenza: la pittura e sua cugina di primo grado, la fotografia”. (Chiara Argenteri, dal testo in catalogo) “Panorami lividi, orizzonti desolati e inquietanti, Rosario Antoci cattura e avvince in uno scatto i ponteggi delle gru, i tetti dei capannoni, le figure cadenti delle automobili abbandonate, i cancelli chiusi e arrugginiti, i vecchi pneumatici, quel cemento sgretolato, tutte quelle putrelle d’acciaio che reggevano chissà cosa. Con le sue fotografie, rigorosamente in bianco e nero, suggerisce l’idea del vuoto e del provvisorio, del precario che caratterizza il destino e il futuro di questi spazi, di queste architetture che non riescono più a raccontare le loro storie”. (C. A.) Marina Giannobi “fotografa stati d’animo. Ma non li sottrae ai volti e agli atteggiamenti delle persone, non li cerca nei ritratti e nelle espressioni della gente. Ruba umori, fremiti, pulsioni, gioie e dolori al paesaggio, cattura quelle emozioni che possono essere intraviste, per un attimo almeno, in certi angoli delle città, in qualche luogo, in determinati incroci, in bar, discoteche, nei parchi pubblici, negli slarghi dei supermercati, alle fermate degli autobus e negli aeroporti. Le persone non sono assenti, ma rimangono sagome, parte indistinta del tutto, fantasmi che tentano di sfuggire allo spettatore”. (C. A.) “Quella di Emanuele Giuffrida è una pittura tirata, che accarezza la tela e l’accompagna nel suo ruolo narrativo, fingendo di non aggiungervi nulla. L’artista tende il colore e lo trasforma spesso in velatura, in un semplice suggerimento, in ombra o luce. La descrizione dei volumi, dei valori storici, delle memorie dei luoghi è così affidata alla rarefazione del segno piuttosto che alla sovrapposizione di materia, al bagliore dei vuoti e delle fughe prospettiche invece che all’ingombrante presenza di elementi dipinti (comunque presenti sulla scena)”. (C. A.) Roberta Savelli dipinge “centinaia di bambini diversi, ragazze poco più che adolescenti, e punta a catturarne più l’afflato interiore che l’aspetto, più la dolcezza che la fisionomia, più i segreti che l’eleganza. I suoi visi e i suoi corpi sono, paradossalmente, incorporei: non c’è carne ma sentimento, non c’è pelle ma sensazioni, e l’olio diluito e allungatissimo delle tele, delle garze e dei lini leggeri rende perfettamente questa situazione”. (C. A.)

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